9 Giugno 2004

Alzheimer e demenze senili


“Vuoti a perdere”, Rapporto Caritas-Zancan 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta

 

Le demenze comportano una progressiva riduzione delle capacità cognitive, mentali, decisionali. La persona non è più quello che era e diventa sempre più bisognosa di cura, aiuto, sostegno, accompagnamento. Senza integrazione delle sue precedenti autonomie non può bastare a se stessa, non può darsi risposte necessarie per la propria sopravvivenza quotidiana.

La sindrome di demenza rappresenta uno dei più attuali problemi sociali e di sanità pubblica. Coinvolge poco meno di un milione di italiani, ma questo numero è destinato a raddoppiare entro il 2050 per l’effetto combinato della maggiore aspettativa di vita e del miglioramento dello stato di salute della popolazione generale. La spesa totale annua per il sostegno ai malati con demenza ammonta oggi, in Italia, a poco meno di 50 miliardi di euro, due terzi dei quali sostenuti (come costi indiretti) dalle reti familiari; la sola invalidità civile assorbe poco più di 20 miliardi di euro.

Il 60-70% dei casi di grave deterioramento cognitivo che si osservano in corso di invecchiamento sono ascrivibili alla demenza di tipo Alzheimer (AD). L’incidenza dell’AD aumenta in maniera esponenziale con l’età. La prevalenza dell’AD è di circa l’1% nei soggetti di età compresa tra i 60 e i 64 anni e raddoppia ogni 5 anni dopo i 65 anni; negli ultra85enni raggiunge il 40%. In Italia soffrono di AD più di mezzo milione di anziani di età superiore ai 65 anni con costi diretti e indiretti di 35-50 mila euro all’anno per paziente.

– Non ancora perfettamente chiarita ne è la patogenesi, riconducibile all’azione combinata di fattori genetici e ambientali. L’età rappresenta il principale fattore promuovente. Il genere femminile presenta una maggiore incidenza rispetto a quello maschile. Altri fattori predisponenti sono gli alti livelli sierici di omocisteina e la bassa scolarità.

All’inizio i sintomi dell’AD, spesso attribuiti a un mutamento del comportamento dovuto all’invecchiamento, sono rappresentati da piccole dimenticanze, perdita di interesse agli hobby e al lavoro. Lo stadio iniziale, neuropsicologico, è caratterizzato da un deterioramento della memoria che si manifesta con l’incapacità di ritenere nuove informazioni. Possono comparire disturbi del linguaggio come l’anomia, della capacità visuo-spaziale, della prassia e delle funzioni esecutive (capacità di critica, di pianificazione, di astrazione). La perdita della capacità di critica spiega come spesso sia il coniuge o un altro familiare a notare le prime avvisaglie della malattia. La percezione dei deficit cognitivi genera nel paziente ansia e depressione. Uno stato depressivo può essere osservato nel 40-50% dei casi di AD nella fase iniziale. Nello stadio successivo, neuropsichiatrico, si aggrava il deficit cognitivo e subentra l’apatia o l’irritabilità con agitazione. Il paziente può avere difficoltà a riconoscere volti familiari (prosopoagnosia) o luoghi e oggetti a lui ben noti. L’agitazione compare o si accentua al calar del sole (sindrome del tramonto). Possono manifestarsi il vagabondaggio, l’aggressività verbale o fisica, il negativismo. Il 90% dei pazienti affetti da AD presenta disturbi comportamentali a insorgenza variabile nel decorso della malattia. Una percentuale elevata di soggetti presenta deliri, specie di tipo paranoideo, con accuse di infedeltà coniugale, furto o persecuzione. Il paziente è ancora in grado di deambulare per cui è esposto al rischio di smarrimento e di cadute. In questo stadio può rendersi necessario l’aiuto di un caregiver per l’espletamento delle attività della vita quotidiana. Nell’ultimo stadio della malattia, neurologico, subentrano rigidità motoria e perdita del controllo degli sfinteri. La morte sopraggiunge dopo 5-10 anni dalla diagnosi, e spesso è dovuta a infezioni, soprattutto a carico dell’apparato respiratorio.

L’atteggiamento dei familiari nei confronti del paziente è di primaria importanza. Il malato AD ha bisogno di sentirsi ripetere quello che deve fare, di essere rassicurato in ciò che fa, di essere orientato verso un altro compito se è incapace di svolgere una determinata mansione (regola delle tre R: repeat, reassure, redirect).

Come prevenire l’AD: ridurre lo stress, fare esercizio fisico e mentale, fare attenzione alla dieta. I soggetti con alta scolarità e i soggetti con un elevato impegno intellettivo presentano un minore rischio di sviluppare la malattia: “Use it or lose it”: “usa il cervello se non vuoi perderlo”.

Per quanto riguarda le strategie di cura, circa il 96% delle persone colpite da demenza vede risolte entro le mura domestiche tutte le proprie esigenze. Particolarmente critica appare oggi la situazione dei servizi domiciliari: il nostro sistema sanitario riesce a raggiungere a domicilio una proporzione inferiore all’1% degli anziani con più di 65 anni.

Attenzione ai caregiver: il caregiver di un malato con demenza dedica al lavoro di cura da 69 a 100 ore settimanali, mentre riserva alle proprie esigenze personali meno di un’ora al giorno. Le conseguenze di questo impegno non sono trascurabili; i caregiver di pazienti dementi effettuano il 46% in più di visite mediche, il 70% in più di consumo di farmaci, una maggior frequenza di ospedalizzazione e soffrono il 50% in più di depressione.

Aggiornato il 22 Settembre 2022