10 Giugno 2004

Condizioni di povertà e accesso ai servizi sanitari

“Vuoti a perdere”, Rapporto Caritas-Zancan 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta


Il volume “Vuoti a perdere. Rapporto 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta” propone infine, come di consueto, un case-study nel quale vengono riportati in sintesi i risultati di una ricerca empirica. Questa quinta edizione presenta la prima indagine nazionale sul rapporto tra povertà delle famiglie italiane e accesso ai servizi sanitari, realizzata in collaborazione con la Federazione italiana di medici di medicina generale (Fimmg).

Sono i medici di famiglia, oggi, a valutare i reali bisogni sanitari dei cittadini e a regolare l’accesso a tutti gli altri servizi offerti dal Servizio sanitario nazionale (Ssn). Ogni medico di famiglia, in Italia, assiste in media 1.059 cittadini. Complessivamente, nel 2001 i medici di famiglia erano 46.907.

La ricerca si proponeva di raccogliere dati relativi all’accesso ai servizi offerti dal Ssn con particolare riferimento ad alcune categorie di cittadini a rischio di emarginazione ed esclusione sociale: anziani, malati cronici, soggetti con problemi di alcol e tossicodipendenza, immigrati, soggetti affetti da demenza, cittadini senza fissa dimora. È stato somministrato un questionario via internet a un campione rappresentativo di 1.836 medici di medicina generale. Il tasso di risposta è stato molto elevato, pari al 79 per cento.

Dall’analisi dei dati risultano evidenti alcuni problemi che, di fatto, impediscono un pieno accesso ai diritti di salute da parte delle fasce deboli considerate.


  • L’assistenza primaria fornita dai medici di famiglia, pur garantita in tutto il paese, mostra delle lacune nell’integrazione con gli altri servizi territoriali, soprattutto in relazione all’assistenza ai pazienti psichiatrici e a quelli affetti da dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti.

  • Si registrano notevoli variabilità tra il Nord e il Sud del paese, con minore presenza di servizi nelle regioni meridionali.

  • Un altro ambito problematico riguarda le politiche di integrazione, che dovrebbero garantire i diritti di cittadinanza tout court, con particolare riguardo agli immigrati e ai nomadi, particolarmente esposti al rischio di esclusione sociale. Il ritardo nell’applicazione di normative esistenti, le difficoltà di ordine culturale, una scarsa attenzione ai prerequisiti necessari per l’accesso ai servizi, la persistenza di atteggiamenti pregiudiziali e, talvolta, la mancanza di sensibilità nei confronti delle esigenze fondamentali della persona (indipendentemente dalla propria condizione di fronte alle legge), costituiscono per queste persone elementi di ostacolo alla piena fruizione di tali diritti.

Pur con le difficoltà evidenziate, però, il Servizio sanitario italiano risulta tra i pochi sistemi al mondo in grado di garantire gratuitamente ai cittadini l’assistenza integrativa sociosanitaria.

Alcuni dati critici.

Anziani: l’Assistenza domiciliare integrata (Adi) erogata a domicilio dei pazienti, nella quale sono previsti, oltre al medico di medicina generale anche altre figure professionali (l’infermiere, il terapista della riabilitazione, il medico specialista, oltre che assistenti sociali, operatori addetti all’assistenza e volontari) è attivata nel 100% dei casi contattati nel Nord-Est e in percentuali elevate nel Nord, Centro e isole, mentre al Sud più di un quarto del territorio ne risulta sprovvisto. Al Nord, in più della metà dei casi sono sufficienti 48 ore per attivare il servizio e, comunque, entro 7 giorni più del 90% delle Adi richieste sono attivate. Nel Sud, solo il 27% delle richieste vengono soddisfatte entro 48 ore e il 67,4% entro 7 giorni, mentre il 13,2% di attivazioni richiede più di un mese per l’attivazione.

Dipendenze. I dati indicano una media nazionale di 7,5 pazienti su 100 con problemi di dipendenza da alcol (con un picco di 10,8 pazienti nel Nord-Est) e 3,4 con dipendenza da sostanze per medico intervistato. Si evidenzia un netto scollamento fra le strutture specialistiche che si occupano di dipendenze e i medici di famiglia. La situazione migliore è quella del Nord-Est, dove nel 39% dei casi i medici di famiglia collaborano con i SerT, nel 23,2% con i centri di disassuefazione. La situazione peggiore è quella del Sud, dove la collaborazione è limitata al 19,7% dei casi nei confronti dei SerT e al 9% nei confronti dei centri di disassuefazione.

Immigrati. A fronte dell’ “ordinarietà” del fenomeno migratorio (2.500.000 unità gli immigrati regolarmente presenti in Italia, pari al 4,2% della popolazione), le politiche di integrazione non sempre hanno risposto tempestivamente e diffusamente. Le difficoltà di accesso ai servizi da parte degli immigrati sono dovute, secondo i medici intervistati, a: scarsa conoscenza della lingua italiana (31,9%), scarsa conoscenza della rete dei servizi (34,9%), difficoltà economiche (29,2%). Minor peso viene attribuito alla “possibilità/capacità di veder rispettati i propri diritti” (17,1%) o a motivi religiosi o culturali (12,4%).

La demenza interessa circa 600 mila italiani: circa 15, in media, per ogni medico di famiglia. La malattia di Alzheimer è la forma più frequente di demenza, rappresentando oltre la metà dei casi. Le risposte dei medici che hanno partecipato all’indagine non sembrano, però, essere in linea con questi dati epidemiologici. I medici che dichiarano di avere meno di 5 pazienti affetti da demenza sono ben il 43,6% al Sud, mentre nelle altre regioni si aggirano intorno al 30%. La maggior parte dei medici dichiara di avere 6 -10 pazienti, mentre percentuali più basse dichiarano più di 10 pazienti con demenza.

Anche i dati relativi a pazienti con malattia mentale mettono in evidenza alcune criticità. I servizi di supporto alle famiglie con malati psichiatrici presentano una diffusione maggiore rispetto a quelle con malati affetti da demenze, almeno al Sud e nelle isole. Ma il dato che emerge con grande drammaticità è che (salvo nel Nord-Est), in più della metà dei casi non esiste un rapporto di collaborazione fra medico di famiglia e Servizio di igiene mentale. Ciò vuol dire che per queste persone particolarmente fragili viene a mancare la continuità terapeutica.

Aggiornato il 22 Settembre 2022