9 Giugno 2004

Dipendenze senza sostanze

“Vuoti a perdere”, Rapporto Caritas-Zancan 2004 su esclusione sociale e cittadinanza incompiuta

Nella pratica clinica si discutono, teorizzano e riscontrano oggi nuove forme di dipendenza non legate all’uso di sostanze psicotrope, quali per esempio la dipendenza da Internet (Iad, Internet addiction disorder), da gioco d’azzardo (pathological gambling), da acquisti compulsivi (compulsive buyers), da sesso (sexual addiction), da esercizio fisico (exercise addiction), da lavoro (workalcoholism o workaddiction), da rischio (risk addiction) ecc. Per alcune di queste nuove forme di dipendenza sono disponibili studi e statistiche di epidemiologia sociale, mentre per altre forme ci troviamo ancora a un livello iniziale di approfondimento scientifico.

La dipendenza non causata da sostanze è molto insidiosa perché meno riconoscibile, meno consolidata nel quadro epidemiologico, meno trattabile con mezzi terapeutici. È in espansione e mette radici su incertezze, immaturità, false speranze, sicurezze apparenti. Pur producendo le stesse conseguenze delle cosiddette tossicodipendenze (l’escalation, la tolleranza, l’astinenza, l’evoluzione progressiva del quadro ecc.), si costruisce e si autoalimenta in assenza di qualsiasi sostanza. Comportamenti di questo tipo non sembrano interessare solo la fascia giovanile.

Alcuni atteggiamenti che possono indicare la dipendenza: impossibilità di resistere all’impulso di mettere in pratica un determinato comportamento; sensazione crescente di tensione immediatamente precedente l’inizio dell’atto; sensazione di perdita di controllo durante l’atto; tentativi ripetuti di ridurre, controllare o abbandonare il comportamento; reiterazione del comportamento nonostante la consapevolezza che lo stesso possa causare o aggravare problemi di ordine sociale, finanziario, psicologico o psichico; marcata tolleranza: bisogno di aumentare l’intensità o la frequenza dell’atto, allo scopo di ottenere l’effetto desiderato; agitazione o irritabilità in caso di impossibilità di dedicarsi al comportamento.

Shopping compulsivo. Secondo alcuni studi lo shopping compulsivo riguarderebbe una quota compresa tra l’1 e l’8% della popolazione adulta. Secondo altri autori, il 90% dei consumatori effettua periodicamente acquisti compulsivi, e intervistati su questo tema due quinti di un campione di popolazione adulta si definisce “consumatore impulsivo”.

Il lavoro patologico o workalcoholism. Il fenomeno della dipendenza da lavoro, che nella letteratura americana viene denominato con l’efficace termine workalcoholism, è descritto dagli specialisti come la più “pulita” (clean) delle dipendenze. Tra i criteri specifici del lavoro patologico possono essere citati i seguenti: iperattività; spirito di competizione e sfida; forte spirito d’impresa; desiderio illimitato di soddisfazione professionale; culto dell’impresa e del lavoro; relazione difficile con il tempo libero; difficoltà a rilassarsi durante le vacanze e il fine settimana; negligenza nella vita familiare; manifestazione di stress nel lavoro.

La cyberdipendenza. Secondo i dati Istat relativi al 2000, il 18,4% degli italiani di età superiore a 11 anni dichiara genericamente di “utilizzare Internet” (9 milioni 488mila persone). Dichiarano di utilizzare Internet tutti i giorni 2 milioni 948mila persone, pari al 5,7% della popolazione italiana. È presente una quota di consumatori assidui (tutti i giorni) anche all’interno di classi di età molto giovani: per esempio, il 4% dei ragazzi di età compresa tra 11 e 14 anni dichiara di utilizzare Internet tutti i giorni, mentre tale peculiarità si registra nel 7,5% dei 15-17enni.

Per quanto riguarda l’uso del cellulare, che taluni inscrivono all’interno delle cyberdipendenze, si evidenzia anche in questo caso un’incidenza precoce di utilizzo, con valori del 21% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni che utilizza il cellulare tutti i giorni (510 mila soggetti). Il 28% dei giovani del primo anno di scuola media superiore non spegne mai il telefonino, neanche di notte; il 33% lo spegne di rado.

Il gioco d’azzardo. Giocare d’azzardo è un comportamento estremamente diffuso, tollerato e anche socialmente incentivato. La maggior parte delle persone partecipa a forme di gioco d’azzardo, ed è esperienza o consuetudine di molti giocare la schedina, acquistare un biglietto di una lotteria nazionale, giocare al lotto o scommettere su una competizione sportiva: è un comportamento che offre la possibilità di sperare, con poca spesa e poca fatica, di poter cambiare la propria vita o realizzare un piccolo sogno, di sfidare o interrogare la sorte, di vivere un’emozione diversa.

Il mercato del gioco in Italia, pur rivelando alcune discontinuità, ha evidenziato negli ultimi anni una costante progressione delle spese, grazie a nuove modalità di gioco e a maggiori possibilità di accesso. Nel 2002 i proventi del gioco del lotto assommano in Italia al 2,7% delle entrate statali totali (oltre 4 miliardi di euro), superando le entrate fiscali derivate dalla vendita dei tabacchi. In dieci anni, dal 1989 al 1999, si è passati da una spesa in giochi legali stimata pari a 9 mila miliardi di vecchie lire, a una spesa di 36 mila miliardi. Nel 2000 sono stati installati in Italia oltre 800 mila videopoker, per un giro di affari di oltre 40 mila miliardi di vecchie lire. Sfuggono alle statistiche ufficiali i dati relativi al gioco clandestino. Con forte approssimazione, il volume del gioco clandestino può essere stimato in oltre un terzo del volume di quello legale.

È interessante notare come il gettito fiscale ottenuto dal gioco è inversamente proporzionale al reddito dei cittadini coinvolti, proprio come il ricorso al gioco d’azzardo è inversamente proporzionale allo sviluppo economico: il gioco d’azzardo “è un meccanismo che prende il necessario al povero”.

Aggiornato il 22 Settembre 2022