16 Maggio 2004

I documenti pontifici sulle migrazioni


Presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione 2004” Caritas-Migrantes

 

S.E. Mons. Paolo Romeo, nunzio apostolico presso lo Stato Italiano

 

Ringrazio per essere stato invitato alla presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione 2004”. Questa iniziativa cade nell’ambito delle celebrazioni del XXV anniversario della Caritas diocesana di Roma, che sta anche all’origine di questo utile sussidio che da 14 anni viene messo a disposizione della società italiana. Esprimo alla Caritas della diocesi del Papa una grande gratitudine per il suo fruttuoso spirito di servizio, da anni condiviso con la Caritas Italiana e con la Fondazione Migrantes, organismi ecclesiali così benemeriti nel settore delle migrazioni.

Il XIV Rapporto Caritas/Migrantes ci presenta un quadro dell’immigrazione caratterizzato, da una parte, da un aumento così consistente della presenza straniera e da un loro crescente radicamento nella società italiana, e dall’altra parte, da una popolazione almeno in parte perplessa quando non addirittura paurosa, di fronte all’accettazione dei nuovi venuti e alle loro differenze culturali e religiose, e da un orientamento politico diviso e spesso contrapposto, nonostante la funzione utile riconosciuta agli immigrati quanto meno con riguardo al mondo del lavoro.

Non spetta ovviamente al magistero della Chiesa entrare nel merito delle decisioni normative e operative che sono state o dovranno essere adottate in Italia, sostituendosi alle responsabilità proprie dei governanti e degli amministratori.
Trattandosi, però, di un fenomeno dalle profonde implicazioni umane e spirituali, la Chiesa si sente chiamata in causa per indicare il rispetto dei valori in gioco.

Facendo riferimento ai messaggi che Giovanni Paolo II per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato Nazionale negli ultimi cinque anni, non parlerò di quote, di bilanci, di revisioni legislative, di aspetti burocratici, di problemi controversi bensì dei principi che devono ispirare le soluzioni di questi problemi. Parlare di valori non significa “lavarsene le mani” bensì mettere in campo criteri precisi e al di sopra delle parti, al cui giudizio si è tutti assoggettati, cristiani e non.

Le migrazioni di massa sono da ricollegare a molteplici fattori di ingiustizia socio-economica

Le migrazioni riguardano non solo l’Italia e l’Europa ma ormai tutte le Nazioni, come Paesi di partenza, di transito o di arrivo. Questa è una constatazione alla cui origine stanno cause ben precise.

“Nel quadro di unilateralismo senza freni adeguati, si approfondisce nel mondo il divario tra Paesi emergenti e Paesi “perdenti”. I primi dispongono di capitali e tecnologie che consentono loro di godere a piacimento delle risorse del pianeta, facoltà di cui s’avvalgono non sempre con spirito di solidarietà e di condivisione. I secondi, invece, non hanno facile accesso alla risorse necessarie per uno sviluppo umano adeguato e, anzi, mancano talvolta addirittura dei mezzi di sussistenza; schiacciati dai debiti e lacerati da divisioni interne, non di rado finiscono per dissipare le poche ricchezze nella guerra” (2000).

«In molte regioni del mondo si vivono oggi situazioni di drammatica instabilità ed insicurezza. Non desta meraviglia che in simili contesti si faccia strada nei poveri e nei derelitti il progetto di fuggire alla ricerca di una nuova terra che possa offrire loro pane, dignità e pace. È la migrazione dei disperati: uomini e donne, spesso giovani, a cui non resta altra scelta che quella di lasciare il proprio Paese per avventurarsi verso l’ignoto. Ogni giorno migliaia di persone affrontano rischi anche drammatici per tentare di sfuggire ad una vita senza avvenire. Purtroppo, la realtà che trovano nelle nazioni d’approdo è spesso fonte di ulteriori delusioni» (2000).

La frustrazione di necessità fondamentali costringe all’esodo tanta gente, mentre andrebbe salvaguardato “il diritto a non emigrare” (2004). Quindi, non dobbiamo limitarci a constatare gli effetti (le migrazioni forzate, per l’appunto), ma dobbiamo andare alle loro cause che consistono in una globalizzazione senza solidarietà: peraltro, già l’enciclica “Mater et magistra” di Giovanni XXIII aveva sottolineato con forza la destinazione universale dei beni di questo mondo (nn. 30 e 33).

La globalizzazione e le migrazioni sono comunque una opportunità da non perdere

Partendo dalla globalizzazione e dalle migrazioni come un dato di fatto, dobbiamo trovare gli incentivi per superare le storture prima lamentate.

«Il processo di globalizzazione può costituire un’opportunità, se le differenze culturali vengono accolte come occasioni di incontro e di dialogo e se la ripartizione disuguale delle risorse mondiali provoca una nuova coscienza della necessaria solidarietà che deve unire la famiglia umana. Se, al contrario, si aggravano le disuguaglianze, le popolazioni povere sono costrette all’esilio della disperazione, mentre i paesi ricchi si ritrovano prigionieri della insaziabile smania di concentrare nelle proprie mani le risorse disponibili» (2000).

Le migrazioni, seppure nate in questo contesto problematico, racchiudono in sé una serie di virtualità. “In questo fenomeno complesso intervengono molteplici elementi: la tendenza a favorire l’unità giuridica e politica della famiglia umana, il notevole incremento degli scambi culturali, l’interdipendenza specie economica degli Stati…La convergenza di razze (o etnie che dir si voglia), civiltà e culture all’interno degli stessi ordinamenti giuridici e sociali pone un problema urgente di convivenza”(2001).

Cosa si sente chiamata a fare la Chiesa in questo scenario? «L’annuncio del Vangelo è diretto alla salvezza integrale dell’uomo, alla sua autentica ed effettiva liberazione, mediante il raggiungimento di condizioni confacenti alla sua dignità, imperniati sui diritti umani fondamentali e irrinunciabili… Essi sono, in particolare, il diritto ad avere una propria patria, a dimorare liberamente nel proprio Paese, a convivere con la propria famiglia, a disporre dei beni necessari per una vita dignitosa, a conservare e sviluppare il proprio patrimonio etnico, culturale, linguistico, a professare pubblicamente la propria religione, ad essere riconosciuto e trattato in ogni circostanza in conformità alla propria dignità di essere umano… Questi diritti trovano concreta applicazione nel concetto di bene comune universale…Di fronte all’intrecciarsi di molti interessi accanto alle leggi dei singoli Paesi, occorrono norme internazionali capaci di regolari i diritti di ciascuno, sì da impedire decisioni unilaterali a danno dei più deboli» (2001).

A questo riguardo il Papa ha avuto modo di sollecitare l’adesione alla Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti, che è sì entrata in vigore il 14 marzo 2003 ma senza che nessun Stato a sviluppo avanzato l’abbia ratificata.

Impegni di chi vuole essere accolto e di chi deve accogliere

Purtroppo, «la mobilità comporta sempre uno sradicamento dall’ambiente originario, che si traduce spesso in un’esperienza di accentuata solitudine con il rischio di una dispersione nell’anonimato. Da queste situazioni può derivare il rifiuto del nuovo contesto, ma anche la sua accettazione acritica, in polemica con l’esperienza precedente» (2001). Particolare attenzione va dedicata alla situazione di coloro che sono costretti a vivere lontani dalla famiglia. In ogni modo, il Papa invita gli «immigrati a riconoscere il dovere di onorare i paesi che li ricevono e a rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni della gente che li ha accolti. Solo così prevarrà l’armonia sociale» (2003).

A questo impegno degli immigrati per inserirsi deve corrispondere uno spirito di accoglienza. «Nessuno – ammonisce il Pontefice – resti insensibile dinanzi alle condizioni in cui versano schiere di migranti! Si tratta di gente in balìa degli eventi, con alle spalle situazioni spesso drammatiche. Di tali persone i mass-media trasmettono immagini toccanti e qualche volta raccapriccianti. Sono bambini, giovani, adulti ed anziani dal volto macilento e con gli occhi pieni di tristezza e solitudine. Nei campi dove vengono accolti sperimentano talora gravi restrizioni» (2004).

Il Papa parla di tutti i migranti che hanno necessità: quelli regolari e quelli senza documenti (che noi chiamiamo irregolari), i profughi, coloro che hanno bisogno d’asilo, le vittime del «terribile crimine che è il traffico di esseri umani» (2003). Non sfugge affatto che «spesso la solidarietà non è cosa spontanea. Essa richiede formazione e allontanamento da atteggiamenti di chiusura, che in molte società di oggi sono divenuti più sottili e diffusi. …I cristiani devono sforzarsi di vincere ogni tendenza a chiudersi in se stessi e imparare a discernere l’opera di Dio nelle persone di altre culture», passando «dalla mera tolleranza verso gli altri al rispetto autentico delle loro diversità», perché Cristo «attraverso di noi desidera proseguire, nella storia e nel mondo, la sua opera di liberazione da ogni discriminazione, rifiuto ed emarginazione» (2003).

Siamo giunti nel cuore del problema della convivenza, anche secondo Giovanni Paolo II un obiettivo tutt’altro che scontato (2001). Ora, «se è pur vero che i Paesi altamente sviluppati non sempre sono in grado di assorbire tutti coloro che emigrano, va tuttavia riconosciuto che il criterio per determinare la soglia della sopportabilità non può essere la semplice difesa del proprio benessere, tralasciando i bisogni reali di chi è drammaticamente costretto a chiedere ospitalità» (2001). Questo è un punto cruciale del magistero ecclesiale: il proprio benessere, se sganciato dal dalle necessità degli altri, si trasforma in egoismo.

Lavorare per un mondo di dialogo e di pace

“Migrazioni e dialogo interreligioso” è stato il tema della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato nel 2002. «All’inizio del nuovo millennio…sono chiamati a convivere, gli uni accanto agli altri, uomini e donne di culture differenti …Poiché tale convivenza si sviluppi in modo pacifico è indispensabile che cadano, tra gli appartenenti alle diverse religioni, le barriere della diffidenza, dei pregiudizi e delle paure, purtroppo ancora esistenti. Il dialogo e la reciproca tolleranza sono richiesti all’interno di ogni Paese tra quanti professano la religione della maggioranza e gli appartenenti alle minoranze… Se comune è la volontà di dialogare pur essendo diversi, si può trovare un terreno di proficui scambi e sviluppare un’utile e reciproca amicizia, che può tradursi anche in un’efficace collaborazione per obiettivi condivisi al servizio del bene comune» (2002), senza dimenticare che in paesi a maggioranza non cristiana «i cristiani non sempre godono di una effettiva libertà di religione e di coscienza» (2003).

La speranza del Papa è quella «di allontanare lo spettro delle guerre di religione che hanno rigato di sangue tanti periodi della storia dell’umanità» affinché appaia che il nome di Dio è «un nome di pace e un imperativo di pace» (“Novo millennio ineunte”, 55). È convinzione del Pontefice che «se il dialogo inter-religioso costituisce una delle sfide più significative del nostro tempo, il fenomeno delle migrazioni potrebbe favorirne lo sviluppo» (2002).

La Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato nel 2004 è dedicata al tema “Migrazioni in visione di pace” ed entra nel merito di alcuni aspetti problematici di grande attualità a causa della guerra e della violenza, del terrorismo e dell’oppressione, della discriminazione e dell’ingiustizia in non poche regioni della terra. «Se il “sogno” di un mondo in pace è condiviso da tanti, se si valorizza l’apporto dei migranti e dei rifugiati, l’umanità può divenire sempre più famiglia di tutti e la nostra Terra una reale ‘casa comune’…Il mondo dei migranti è in grado di offrire un valido contributo al consolidamento della pace. Le migrazioni possono infatti agevolare l’incontro e la comprensione tra le civiltà, oltre che fra le persone e le comunità» (2004).

Qualche riflessione conclusiva

Gli insegnamenti del Papa non sono esercizi accademici bensì un forte incentivo al cambiamento, ripensando quanto è stato fatto e quanto si potrebbe fare. Voglio riprendere alcune frasi del Papa che possono costituire quasi degli slogan per il nostro impegno concreto:


  • lo stretto legame tra la giustizia e la pace, per cui «non ci può essere vera pace senza giustizia e senza rispetto dei diritti umani» (2004);

  • il rifiuto di ogni discriminazione fondata sulla razza, la cultura o la religione come contraria al «disegno di Dio» (2000);

  • le diverse culture come portatrici di valori comuni, capaci di unire e non di dividere (2004);

  • le città ad alta concentrazione di immigrati come «laboratori di civile convivenza» (2002);

  • i genitori e gli insegnanti come figure chiave per combattere il razzismo e la xenofobia;

  • la chiesa come «segno e strumento dell’unità delle culture e delle nazioni in un’unica famiglia» (2003);

  • la parrocchia come spazio per realizzare «una vera pedagogia dell’incontro con persone di convinzioni religiose e di culture differenti» (2002);

  • la chiara testimonianza esistenziale della fede come base per un autentico dialogo (2003);

  • il coraggio morale dei pastori e dei fedeli nel dire «una parola profetica che indichi ciò che è sbagliato e incoraggi ciò che è giusto» (2003).

 

Le migrazioni possono veramente contribuire a «coltivare il “sogno” di un avvenire di pace per l’intera umanità» (2004): spetta a chi è impegnato nella politica, nell’amministrazione, nel sociale, spetta ad ogni cittadino, italiano o immigrato, rendere tale sogno realtà, cambiando quello che c’è da cambiare. Sarà così possibile avere una società aperta e, nello stesso tempo, dinamica e sicura.

N.B. Gli anni tra parentesi sono quelli delle Giornate Mondiali del Migrante e del Rifugiato


Roma, 27 ottobre 2004


Aggiornato il 22 Settembre 2022