17 Maggio 2004

Intervento 1

Presentazione del “Dossier Statistico Immigrazione 2004” Caritas-Migrantes

 

Liliana Ocmin Alvarez, dipartimento Politiche Migratorie Cisl in rappresentanza di Cgil-Cisl-Uil

 

Mi preme ringraziare, a nome Cgil, Cisl, Uil, per l’invito a partecipare a questo importante appuntamento in particolare alla Caritas italiana, la fondazione Migrantes della Cei, Franco Pittau ed la sua equipe per il lavoro che magistralmente state svolgendo da diversi anni nella redazione del “Dossier statistico”, strumento importante, che molti addetti al lavoro utilizzano.
L’efficace sintesi del Dossier fatta da Pittau, ci porta all’attenzione su molti aspetti che presi singolarmente, meriterebbero approfondite analisi. Non è questa la sede e non ci sono i tempi per poter farlo.

Da una prima analisi macro dei dati, ci risulta evidente che siamo di fronte ad un fenomeno strutturale e consolidato: 2.600.000 immigrati in Italia (inclusi 400.000 minori) rappresentano, come affermato dal “Dossier”, l’incidenza del 4,5% sulla popolazione complessiva (1 immigrato ogni 22 abitanti). Questo indice demografico della presenza degli immigrati è nettamente inferiore rispetto ad altri paesi europei. Il contesto nazionale che vede una crescita demografica negativa della popolazione, ci fa riflettere nel fatto che il fenomeno migratorio, oltre che strutturale, non è allarmante né invasivo per l’Italia, come a volte vorrebbero farlo apparire; inoltre compensa un deficit di crescita demografica che, da qualche anno a questa parte, caratterizza l’Italia.

Gli immigrati incidono pesantemente anche per questi motivi sul sistema produttivo italiano, andando ad occupare spesso settori produttivi (servizi alla persona, il terziario, le costruzioni, l’artigianato, meccanico, il tessile ed altri) dove è più difficile reclutare forza lavoro italiana.

Un altro dato di particolare rilevanza è la forte richiesta per motivi di ricongiungimento familiare, che riteniamo sia una delle condizioni primarie per una piena integrazione. A questo proposito, pensiamo che sia opportuno, saggio nonché lungimirante, mettere in atto una politica che favorisca tali processi, perché essenziali per la costruzione responsabile e coerente di una politica d’integrazione reale.


  • Ad oggi purtroppo, e lo dico come donna e mamma, condivido pienamente le problematiche a cui tutte le donne lavoratrici fanno fronte quotidianamente e questo a prescindere dall’essere straniera o italiana, nella conciliazione “famiglia – lavoro”. Riscontriamo una politica non adeguata al valore reale della famiglia, essendo essa cellula essenziale della società. Richiamerei alcuni esempi in merito:

  • La legislazione attuale ha delimitato il diritto al ricongiungimento familiare con i propri genitori riservato quasi unicamente ai figli unici, quando nella società italiana sappiamo come sono necessari ed importante i “nonni”, che molte volte si sostituiscono, lì dove l’istituzione non arriva, e parlo pensando ai nidi, ed a tutti i servizi c.d. della prima infanzia, assumendo essi ruoli determinanti per l’equilibrio della propria famiglia favorendo così l’inserimento delle “donne – mamme” nel mercato del lavoro e rendendo possibile successivamente la conciliazione famiglia – lavoro.

  • L’attuale politica miope in tema di unita familiare, si riscontra nell’indice crescente delle mamme straniere che decidono più delle volte loro malgrado, di inviare i propri figli nel proprio paese d’origine, per poter reinserirsi nel mercato del lavoro.

Ulteriore elemento essenziale per l’integrazione, oltre la famiglia, è appunto il lavoro.
Dal “Dossier statistico” si evidenzia una incidenza dei lavoratori immigrati pari a circa il 7% sulla forza lavoro (calcolata su 24.150.000 lavoratori) come affermava poc’anzi Franco Pittau, garantendo per l’Italia un sostanziale contributo per l’economia nonché un contributo non indifferente attraverso le rimesse che i lavoratori immigrati trasferiscono nei propri paesi d’origine. Diverse ricerche evidenziano come l’ammontare di queste risorse siano nettamente superiori a quelle che, in particolare l’Italia, ma anche l’Europa, impegna nella Cooperazione Internazionale allo Sviluppo.

L’attuale legislazione con le rigide norme sul soggiorno legato al contratto di lavoro, rapportato alla flessibilità delle tipologie contrattuali previste dalla Legge 30, impedisce, di fatto, all’immigrato il diritto alla permanenza stabile con il rischio di finire nella precarietà, nell’illegalità e nel sommerso, rendendo difficile, ed a volte impossibile per ogni immigrato la progettazione di un futuro a lungo termine.

Il mercato del lavoro è indice di un reale bisogno di mano d’opera immigrata in diversi settori produttivi, ma ciò contrasta con l’attuale politica dei flussi centralizzata che non risponde alle esigenze del mercato del lavoro stesso ed esclude nella determinazione dei flussi un confronto con Regioni, Comuni e Parti Sociali. È nostro auspicio, comunque, che si arrivi al superamento del meccanismo delle quote ed all’istituzione di un permesso di soggiorno per ricerca di occupazione.

Un altro pilastro per una politica di piena integrazione, è la valorizzazione degli studenti stranieri. Non possiamo dimenticare che oltre alla famiglia ci sia questo aspetto non trascurabile come forte veicolo di scambio culturale tra immigrati ed italiani.
Attualmente il sistema dei permessi di soggiorno per motivi di studio (che sono di durata di un anno) penalizza la loro condizione, perché sono tuttora vincolati, per la trasformazione di permessi di studio a lavoro al decreto dei flussi. Questo ha favorito, a volte, la rinuncia a offerte di lavoro e nella maggioranza dei casi tra i neo-laureati stranieri l’irregolarità.

Il Sindacato Confederale, in questi giorni, è impegnato in un percorso di confronto con tutta la società civile, su tutti i punti critici dell’attuale legislazione che ostacolano ed a volte impossibilitano un’integrazione nel rispetto dei valori riconosciuti dei diritti dell’immigrato.

Roma, 27 ottobre 2004

Aggiornato il 22 Settembre 2022