Il “Dossier 2004” è dovuto a 85 persone che vanno ringraziate per la loro dedizione, la loro intelligenza e anche la loro eccezionale celerità. Una grande riconoscenza è dovuta anche a tutte le strutture che ci hanno aiutato con la fornitura dei dati, a partire dal Ministero dellInterno al quale anchio rinnovo il più sentito ringraziamento per la preziosa collaborazione da sempre prestata.
La Caritas di Roma celebra questanno il suo 25° anniversario ed io festeggio 35 anni di impegno nel settore delle migrazioni. Ritornato dalla Germania nel 1976, dopo aver lavorato prima nelle Acli e poi nel sindacato, ho avuto la grande fortuna di collaborare con la Migrantes, con la Caritas di Roma e ora anche con la Caritas Italiana, imparando ad inquadrare limmigrazione come “segno dei tempi”: mi pare doveroso ringraziare per lopportunità che mi è stata offerta.
Tratterò solo alcuni punti del Rapporto, da approfondire con la lettura della “Scheda” e dello stesso “Dossier”. Preciso che i dati da noi forniti non hanno il compito di correggere questo o quel Ministero, ma solo di leggere gli archivi nella loro globalità, integrandoli alloccorrenza con una nostra stima.
La pressione migratoria non è destinata a diminuire
Basandoci sui visti dingresso rilasciati dal Ministro degli Affari Esteri, nel 2003 i nuovi ingressi in Italia a carattere stabile sono stati 107.500, così ripartiti: 19.500 visti per inserimento lavorativo come autonomi o dipendenti, 66.000 per ricongiungimento familiare, 18.000 per motivi di studio e 4.000 per motivi religiosi. Non va tenuto conto, non essendo a carattere stabile, dei 68.000 visti per lavoro stagionale. Per lavoro sono venuti in prevalenza dallEst Europa, mentre per ricongiungimento familiare sono arrivati da tutti i continenti.
I nuovi ingressi hanno determinato un aumento della popolazione straniera del 7%; se si tiene conto anche dei circa 650.000 regolarizzati, laumento complessivo è del 45%.
Quanti sono venuti irregolarmente e si sono fermati da irregolari in Italia nel corso del 2003? Sarebbero attualmente 200.000 secondo lIsmu, 600.000 secondo i sindacati e 800.000 secondo lEurispes. Noi del “Dossier” non sappiamo quanti effettivamente siano. Le persone coinvolte nei respingimenti e nelle espulsioni sono state nel 2003 poco più di 100.000, ma rispetto agli intercettati è difficile ipotizzare il numero di quelli che sono riusciti ad entrare. Le ispezioni degli istituti previdenziali e del Ministero del lavoro, come anche lIstat, attestano che è molto diffusa leconomia sommersa: si può ipotizzare, come già detto nel passato, che le ispezioni impostate secondo un criterio di campionatura aiuterebbero nella stima del numero degli irregolari.
È certo, invece, che il 60% della ricchezza mondiale è detenuto dallAmerica e dallEuropa, che sono solo un quarto dei 6 miliardi e 300 milioni abitanti del pianeta. Il direttore generale dellIlo (Ufficio Internazionale del Lavoro), Juan Somavia, ha osservato che “se si guarda alleconomia globale dal punto di vista della gente, il suo più grande fallimento consiste nellincapacità di creare lavoro sufficiente nei luoghi in cui le persone vivono”.
Per lo sviluppo dei paesi poveri le parole sono state tante e le realizzazioni scarse.
Tra i 36.239 dollari dellAmerica Settentrionale e i 983 dellAfrica Orientale corre un abisso: la differenza è di 37 a 1. Tra le persone poverissime, ben mezzo miliardo vive in Africa e cioè i due terzi della popolazione di quel continente. Di essi vediamo sbarcare in Italia qualche sparuto gruppo rispetto ai milioni dei futuri candidati ad emigrare.
Peraltro, una delle maggiori risorse di questi Paesi è costituita dagli stessi risparmi degli immigrati: 93 miliardi di dollari nel 2003. LItalia, come viene spiegato nel “Dossier”, è al nono posto nel mondo con 2,6 miliardi di dollari, di cui meno della metà transitato attraverso le banche. Senza migrazioni, questi paesi perderebbero una risorsa e sarebbero ancora più poveri.
Stando così le cose, la regolamentazione dei flussi non si può ridurre ad una semplice “partita di giro”, scaricando i problemi dei paesi ricchi su altri paesi incaricati dei controlli: le convenzioni possono aiutare solo fino ad un certo punto, mentre alla radice resta la mancanza di sviluppo sul posto, che continuerà ad essere un fattore di esodo. Diceva le stesse cose 10 anni fa lambasciatore Nino Falchi in un bel libro sulla sfida delle migrazioni curato per lOim.
2.600.000 immigrati regolari in Italia, 1 ogni 22 residenti
Nel corso degli anni 90 limmigrazione è aumentata secondo un ritmo vivace, specialmente a seguito di tre regolarizzazioni: lIstat ha calcolato che tra il censimento del 1991 e quello del 2001 la presenza è triplicata, arrivando a superare il milione di presenze. Successivamente landamento è diventato ancora più sostenuto e, tra il 2000 e linizio del 2004, si è verificato il raddoppio con 2 milioni e 600mila presenze regolari. Nella stima del “Dossier”, basata peraltro su criteri prudenziali, alle persone registrate dal Ministero dellInterno (circa 2,2 milioni) vanno aggiunti 400.000 minori, che aumentano al ritmo di circa 65.000 lanno (35.000 come nuovi nati e 25.000 come nuovi ingressi).
Di fronte a questa consistente presenza possiamo dire che il futuro della politica migratoria italiana consiste nel coltivare una dimensione euro-mediterranea: la presenza europea raggiunge quasi la metà del totale (47,9% di cui solo il 7% costituito da cittadini comunitari), mentre allAfrica spetta quasi un quarto (23,5%): è consistente anche la rappresentanza asiatica (16,8%) mentre è più ridotta quella americana (11,5%).
Hanno rafforzato la loro presenza i primi tre gruppi nazionali (Romania, Marocco, Albania), ciascuno con circa 230/240mila soggiornanti registrati. Al quarto balza sorprendentemente lUcraina (113.000) e quinta è la Cina (100.000). Nella fascia tra le 70 e le 60.000 presenze troviamo Filippine, Polonia e Tunisia, mentre nutrito è il gruppo di paesi con 40.000 presenze (Stati Uniti, Senegal, India, Perù, Ecuador, Serbia, Egitto, Sri Lanka). Il numero dei soggiornanti registrati andrebbe maggiorato così come abbiamo fatto per la presenza complessiva, ma non sono disponibili i parametri per ciascuna nazione: ad esempio Romania, Marocco e Albania arriverebbero già a 270-280 mila presenze regolari.
È stata quasi raggiunta la parità tra i sessi, e questo per il forte bisogno di donne immigrate nel sistema dellassistenza alle famiglie (si tratta di mezzo milione di persone): se nel 1991 i maschi erano il 58%, oggi sono scesi al 51,6%. I coniugati sono la metà del totale e anche questo è un indice di equilibrio familiare. Sappiamo poi da sempre che gli immigrati sono molto più giovani di noi: il 60% è concentrato tra i 19 e i 40 anni.
Per la ripartizione territoriale potremmo parlare, in gergo calcistico, di 6-3-1: grosso modo 60% nel Nord (1 milione e 500mila immigrati,), il 30% nel Centro (710mila,) e il 10% (357mila) nel Meridione. #9; Alla Lombardia spettano 606.000 soggiornanti, al Lazio 369.000. Lincidenza è del 4,5% sulla popolazione complessiva (un immigrato ogni 22 abitanti), con queste differenze: 6,5% nel Centro, 6% nel Nord, 2% nel Sud e 1,5% nelle Isole. Si è attorno al 7% nel Lazio, in Lombardia e in Emilia Romagna. Vi sono province nelle quali lincidenza è dell8% (Reggio Emilia, Pordenone, Treviso), del 9% (Roma e Brescia) e dell11% (Prato). E andata attenuandosi la concentrazione nei grandi comuni e la presenza degli immigrati tende a spalmarsi in maniera più equilibrata e più visibile su tutto il territorio italiano.
Secondo unindagine condotta dallAnci (2004) tra i comuni con più di 15.000 abitanti il 60% non dispone di un ufficio immigrazione, mentre tra le grandi città ad esserne sprovvisto è solo un quinto. In altre parole, vi è una realtà di fatto che stenta ad essere assunta formalmente, mentre per quanto riguarda i Consigli territoriali per limmigrazione, alla formalizzazione sancita dalla legge non sempre ha fatto seguito lefficacia operativa auspicata.
Un sistema produttivo sostenuto dagli immigrati
Da anni lItalia sta attraversando una fase economica non facile: riduzione della percentuale di crescita e della quota nel commercio mondiale, carenze nella ricerca e negli investimenti tecnologici, scomparsa o quasi della grande industria, crisi di settori tradizionali del “made in Italy”, scarsa presenza in settori importanti dei nuovi mercati, andamento demografico negativo. In queste condizioni abbiamo bisogno di un forte apporto dei lavoratori stranieri, come sostengono gli imprenditori, ma ciò nonostante non riusciamo ad accettarli pienamente.
Oltre ai titolari di permessi per lavoro (1.450.000), svolgono unattività anche circa 300.000 familiari, così da incidere per circa il 7% sulle forze lavoro (24.150.000) e fornire un importante contributo alleconomia del paese, anche a rischio della loro salute. I casi di infortunio denunciati nel 2003 sono stati 106.930, di cui 129 mortali. 1 ogni 9 infortuni riguarda un lavoratore extracomunitario: per essi si verifica un infortunio ogni 15 occupati, mentre per gli italiani il rapporto è di 1 infortunio ogni 25 occupati (Ricerca Dossier-Istituto Italiano di Medicina Sociale 2004). È effettiva lesigenza di una tutela più ampia e questo aiuta a capire lalto numero di iscritti a Cgil-Cisl-Uil nel 2003 (333.883 immigrati con un aumento del 49% rispetto al 2000).
Le statistiche sulle assunzioni riflettono il grande apporto degli immigrati, anche se sopravvalutate perché larchivio INAIL è basato sulla semplice nascita in un paese estero. Secondo tale archivio spetta ad un immigrato una ogni 6 assunzioni (nel 2000 si trattava di una ogni 10) con 771.813 casi di assunzioni a tempo indeterminato e 214.888 a tempo determinato, avvenute specialmente nelle piccole imprese. La percentuale delle donne, le grandi protagoniste dellimmigrazione, è pari a quella degli uomini (49,6%) ma non nei lavori a tempo determinato dove sono di meno.
Il 70% delle assunzioni è concentrato nel Nord (al Centro il 20% e al Meridione solo il 10%). Il “triangolo dellimmigrazione” è costituito dalla Lombardia, dal Veneto e dallEmilia Romagna, con metà o più delle assunzioni di immigrati per la maggior parte dei settori.
Dal rapporto positivo tra assunzioni e cessazioni sono derivati 684.569 saldi, di cui la metà si riferisce a persone regolarizzate. Il concetto si avvicina a quello di nuovo posto di lavoro, senza però esserne lequivalente: si tratta comunque di un indice positivo, specialmente se confrontato con quello degli italiani.
I rami produttivi da segnalare per il maggior numero di assunzioni sono 12: lavoro domestico, costruzioni, alberghi e ristoranti, agricoltura, attività immobiliari/pulizia, industria metalli, trasporti, commercio al dettaglio, commercio allingrosso, industria alimentare, industria tessile e servizi pubblici.
Il mercato del lavoro privilegia gli immigrati provenienti da aree continentali vicine per cultura, tradizioni, formazione professionale e religione, e cioè lEuropa Centro Orientale (45% del totale) e lAmerica Latina (14%, appena un punto percentuale in meno rispetto ai nordafricani che sono più numerosi quanto a numero di presenze). Il numero maggiore di assunzioni a tempo indeterminato riguarda la Romania (14,4%), seguita dallAlbania (9,4%), dallUcraina (8,9%) dal Marocco (8,6%) e dalla Polonia ( 4,5%).
Dallannuale ricerca che la Cna conduce con il “Dossier” è risultato che i titolari dimpresa, effettivamente stranieri, sono 71.843 al 31 giugno 2004 (mentre è quasi doppio il dato grezzo riferito a quelli nati allestero). Il dato è notevole perché caratterizzato dallaumento di circa il 25% rispetto allanno precedente, mentre tra gli italiani la situazione è risultata quasi statica: in media una ogni 50 imprese appartiene ad un imprenditore straniero, 1 ogni 25 a Roma e 1 ogni 8 a Prato.
Gli immigrati, che sono artigiani in quarto dei casi, sono particolarmente attivi nel ramo del commercio e delle riparazioni (42%) e in quello edilizio (28%). Gli immigrati sono anche una vasta categoria di contributori. Dal capitolo curato dallINPS, che anticipa i primi risultati di una vasta ricerca ancora in corso, risulta che nel 2002 i lavoratori extracomunitari per i quali è stato pagato almeno un contributo sono stati 1.225.000. La ripartizione per settori vede prevalere i servizi (50,4%); seguono industria (41,6%) e agricoltura (8%).
I chiaroscuri del processo di integrazione
Il Cnel, con il sostegno delléquipe del “Dossier”, si è confrontato con il difficile compito di misurare il grado di inserimento degli immigrati a livello regionale. E stato elaborato una sorta di termometro dellintegrazione, che ha utilizzato una serie di indicatori sulla consistenza della presenza, sullinserimento sociale e su quello lavorativo. Si è ottenuta una classifica indicativa, che colloca ai primi posti la Lombardia e il Veneto e nella zona intermedia il Lazio e il Trentino Alto Adige.
Il “Dossier” è daiuto per riflettere sugli aspetti statistici rilevanti ai fini dellintegrazione. La tendenza allinserimento stabile è attestato dal fatto che i due terzi (66,1%) degli immigrati sono venuti per lavoro e circa un quarto (24,3%) per motivi di famiglia: possiamo dare per scontato laumento delle pratiche per ricongiungimento familiare, proprio in una fase in cui la macchina burocratica è molto appesantita e sta generando gravi ritardi.
Un altro 7% di permessi è rilasciato per inserimento medio-stabile (studio, residenza elettiva, motivi religiosi). I permessi di studio incidono solo per il 2% sul totale dei permessi (solo Trieste e Firenze si attestano sul 10%), a differenza di quanto avviene in tanti altri paesi europei.
Gli studenti stranieri nellanno scolastico 2003-2004 sono stati 282.683, con un aumento di 50.000 rispetto allanno precedente. Con questo ritmo basteranno quattro anni per arrivare alla quota di mezzo milione di studenti stranieri e questo spiega perché il settore è prioritario.
Prima della regolarizzazione gli immigrati con almeno cinque anni di soggiorno erano il 60% mentre un terzo soggiornava da almeno 10 anni. Rispetto agli immigrati dellEst Europa vi sono diversi paesi africani e asiatici che hanno una percentuale più elevata di soggiornanti di lunga durata (Capoverde 87%, Corno dAfrica, Filippine, Argentina e Cile 75%). Purtroppo, non sono disponibili le statistiche sui titolari della carta di soggiorno, il documento che assicura la permanenza a tempo indeterminato: virtualmente dovrebbero essere circa 700.000 casi.
Al censimento del 2001 la percentuale degli stranieri nati in Italia era del 12%: è questo un altro dato che induce alla riflessione. Si può ipotizzare che oggi siano circa 250.000 le persone che, seppur straniere, sentano lItalia come la loro paese natio, la loro terra. Esse provengono nel 50% dei casi da Marocco, Albania, Tunisia, Cina, Filippine, Jugoslavia, Egitto e Romania.
Questo desiderio di essere i “nuovi cittadini” viene spesso contrastato da discriminazioni di vario genere. Ad esempio, sono di grave ostacolo le difficoltà nellaccesso allalloggio (indagine Appc-Associazione Piccoli Proprietari di Case, 2003): il 57% degli affittuari di 5 città del Nord Italia e di 7 del Centro sono contrari ad affittare a immigrati. Il record negativo spetta a Bologna (95%), a cui seguono Perugia (70%), Firenze (62%) e Milano (70%). Più aperte sono invece Roma (51%), Genova (52%) e Bari (54%).
Nonostante certe intemperanze, più equanimità si riscontra nellaccettare i simboli di altre religioni: il 70% si è dichiarato contrario ad una legge restrittiva come quella approvata in Francia. Il notevole aumento degli immigrati dellEst Europa, in prevalenza ortodossi, ha modificato notevolmente lo scenario. I cristiani sfiorano la metà del totale (49,5%), seguiti dai musulmani con un terzo delle presenze (33%). I fedeli di religioni orientali sono allincirca il 5%, mentre gli altri gruppi hanno una rappresentanza molto ridotta (gli ebrei, ad esempio, sono lo 0,3%).
Secondo lindagine dellAnci (2004) gli interventi prioritari riguardano laccesso allabitazione (43%), il lavoro (22%) e la scuola (12%).
Qualche conclusione
I dati riportati si possono sintetizzare così: una pressione migratoria che continuerà, una presenza consistente e diffusa su tutto il territorio, un inserimento diversificato nelle regioni, un notevole apporto a livello lavorativo e una integrazione a metà del guado. Le previsioni sullimmigrazione, che prima ci lasciavano abbastanza distaccati, iniziano a prendere forma corposa e richiedono da tutti maggiore attenzione.
Riprendendo quanto esposto dalla Presidenza nellintroduzione al “Dossier”, il mercato del lavoro induce a interrogarsi sulla programmazione triennale, ancora da approvare, sui meccanismi di ingresso nel mercato, sulla determinazione delle quote, sullincontro tra domanda e offerta.
È tempo di prestare più attenzione al “peso amministrativo” delle decisioni normative, cercando di semplificare al massimo la vita degli immigrati, riconsiderando la durata dei permessi di soggiorno e potenziando lefficacia della macchina burocratica, problema peraltro già in discussione.
Senza diritti non vi possono essere immigrati integrati. I diritti sociali non devono rischiare di restare sulla carta: il recente rapporto Caritas sulla povertà ha sottolineato, ad esempio, che solo la metà degli immigrati ha un medico di famiglia.
Tra gli altri diritti bisogna insistere sullaccesso agevolato alla cittadinanza e sulla concessione del voto amministrativo.
È realistico pensare che, per il bene della società, il compito del futuro consista nel facilitare la convivenza, con noi italiani, di tradizioni, lingue, culture e religioni differenti: per questo si può dire “Società aperta, società dinamica e sicura”.
Roma, 27 ottobre 2004
Aggiornato il 22 Settembre 2022